Sono solo un “appassionato”, per quanto si possa usare un termine del genere in un argomento del genere, del mistero del “Mostro di Firenze”, così come vengono racchiusi i duplici omicidi fra la fine degli anni Sessanta e la metà degli anni Ottanta a Firenze e dintorni.
Un po’ perché la vicenda mi ha lontanamente sfiorato, lambendo i miei ricordi di bambino, quando la sindrome da mostro imperversava (legittimamente, direi), anche dalle nostre parti. Un po’ per la mia “passione” (sempre fra virgolette) per il crime e per i giall, soprattutto italiani, che hanno a che fare con (purtroppo) la realtà.
Ho letto tutta una serie di libri sull’argomento, ho visto speciali e anche serie (ben fatta, secondo me, quella di Fox Crime) e ho quindi lambito tutte le teorie al riguardo: da quella dei “compagni di merende” (probabilmente la più famosa), passando per pista sarda, esoterismo, regia occulta, seria killer singolo e quant’altro.
Devo dire la verità, in questo, come in altri casi, guardo molto ai fatti, all’oggettività delle questioni, anche qualora si verifichino alcuni errori e/o piccole/grandi incongruenze. E’ difficile, in linea generale, che in un’inchiesta (oltretutto in un’inchiesta come questa, a distanza di tanti anni e con palesi errori in alcune ricostruzioni o nella raccolta di alcune prove) fili tutto liscio e tutto si incanali per il verso giusto: non ci sarebbero casi irrisolti, ca va sans dire.
Per questo, nel caso del “Mostro” propendo per le teorie espresse dal commissario Michele Giuttari, ben esplicate, peraltro, nel suo ultimo libro “I mostri di Firenze e il patto segreto”, edito da Morlacchi (casa che peraltro ha scelto di non fare grande distribuzione). A partire dal titolo si evince come Giuttari che, lo ricordo, ha condotto le indagini che hanno portato, seguendo le sentenze passate in giudicato, a scovare almeno parte degli assassini dei suplici omicidi, tracci la questione secondo la teoria della “cabina di regia”, ovvero di un manipolo di persone che costituirebbero il “secondo livello”, rispetto ai Pacciani, Vanni e Lotti, ovvero ai “compagni di merende” riconosciuti come autori degli ultimi delitti.
Quello che mi è piaciuto del libro è il riferimento a fatti, oggettivamente dimostrati e dimostrabili, riconoscibili in documenti, interrogatori, atti processuali, che spesso alla massa (o, forse, a chi non vuole conoscerli), rimangono abbastanza occultati o anche sommersi dalla matassa social che cuce tutta l’erba in un unico fascio. Ne leggo e ne sento di tutte i colori e alcune teorie sul caso, oltremodo affascinanti e anche interessanti, cadrebbero di fronte a tale prova provata.
Dunque i duplici omicidi sarebbero opera in parte dei suddetti “compagni” o comunque di un livello di manovalanza agli ordini di un secondo livello, aristocratico, superiore, dedito a riti di magia e festini.
Piccola opinione di “appassionato”, che però si basa su tale (e attenta) ricostruzione. Tornerò sull’argomento.