Non pensavo che una corsa di 42 chilometri e 195 metri potesse insegnare così tanto. Forse perchè a Firenze è stata la prima. Non credevo, però, potesse essere un viaggio introspettivo così particolare, un percorso che cresce di intensità chilometro dopo chilometro. Di più. Passo dopo passo. E se i primi sono fluidi, quasi tranquilli, forti di un allenamento comunque costante, quelli da metà in poi si fanno pieni di dubbi, quasi di incertezze, di punti interrogativi, di riflessioni. Ed è lì che tiri fuori tutto quello che hai dentro, che non è solo benzina nelle gambe e ossigeno nei polmoni, ma è altro. E’ cuore, è vita che scorre, sono pulsazioni di adrenalina, morsi uno dopo l’altro alla strada. Pensieri positivi, certo; ma non soltanto. Ribellione. Negli ultimi chilometri, negli ultimi metri, ho sentito tante persone con me. Quelle che mi vogliono bene, certo e che sono state fondamentali; ma non solo. Perchè questa è la vita ed è fatta di tanti ostacoli, di uomini e donne che ti danno una spinta e di altre che ti fanno lo sgambetto. Tutte, in qualche modo, ti aiutano, perchè anche chi non vorrebbe darti una mano, in realtà, pone ostacoli che, superati, ti insegnano a non mollare. Mai. E a guardarti indietro con un sorriso. L’emozione nel baciare, alla fine, quella medaglia è stato tutto questo. Al di là dell’esperienza squisitamente sportiva, che pure è un bel mondo fatto di sacrifici, sveglie all’alba, corse al freddo e lunghi chilometri macinati per le strade impervie di Siena, spesso con gli sguardi increduli di chi ti vedeva passare mezzo sconvolto dopo decine di migliaia di metri passo dopo passo. Lo sforzo fisico, che ti insegna ad andare oltre i tuoi limiti è quasi niente rispetto alla crescita a livello mentale: a quegli ultimi metri azzannati con la testa, con la voglia e la determinazione di “andarsi a prendere” la medaglia. Metafora di vita, di lotta, di sforzo verso una crescita ed un miglioramento continuo. Stringere i denti per un traguardo sempre più alto. Avanti. Senza padroni.
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Beato Lei,caro Fanali,che questo bel viaggio introspettivo se lo è fatto di corsa ed in piena salute.Pensi a chi deve quotidianamente farlo da ammalato in un letto d’ospedale oppure costretto in casa senza un lavoro.Quelle sì che sono sfide,piene di sgambetti e con poche mani pronte a sorreggere.Comunque bravo,bella metafora.E’ stato un piacere leggerla.Ad majora!
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E’ per l’appunto una metafora, che vale anche per le situazioni – certo ben più gravi – che Lei descrive. La corsa come metafora. Grazie in osgni caso
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